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« Ultimo post da LHM il 16 Aprile 2021, 09:51:18 »
Oltre dieci anni fa ossia, in particolare, nel 2008 con la presentazione della C5 II in doppia opzione quanto alle sospensioni (con o senza idrattive) e nel 2009 con l'avvento della sciagurata operazione DS (già Distinctive Spirit) iniziai a pensare che erano iniziate le manovre finali per scarnificare Citroën del ruolo che, con alterne fortune, aveva rivestito nel secondo dopoguerra, in ossequio (parziale) al famoso piano Pons del 1946 e ricollocare la casa del Double Chevron in un ruolo commerciale d'accesso, ciò che è stato ribadito lo scorso gennaio nell'anteprima del piano industriale di Stellantis.
Ciò premesso per collocare la mia linea di pensiero (critica da anni sul destino assegnato al nostro costruttore preferito dal gruppo cui appartiene), questa nuova C5 X non mi procura sicuramente più sconcerto di quanto accadde ai tempi (2015) della conferma ufficiale, da parte di Linda Jackson, del programmato (sciagurato) abbandono delle sospensioni idropneumatiche, concretatosi poi a giugno 2017 con la fine della produzione della C5 II nello stabilimento di Rennes-la-Janais.
Si tratta di una berlina di segmento D di dimensioni generose, ovviamente priva della caratteristica tecnica distintiva perduta nel 2017 ma - almeno ai miei occhi - abbastanza fresca nella declinazione stilistica, nell'aria dei tempi ma non citazionista dei dettami altrui, né autoreferenziale (i quali costituivano i limiti stilistici più evidenti, rispettivamente, della C5 II del 2008 e della C6 del 2005) e, per quanto concerne il confronto con la produzione attuale, più fluida e gradevole rispetto alla recente C4 III (che ritengo indigeribile, addirittura volgare).
Insomma: si tratta di una Citroën degli anni Venti del ventunesimo secolo che ritengo interessante e della quale potrei anche valutare l'acquisto in un futuro, ma non senza la piena consapevolezza che, al di là dello stile, la sostanza tecnica resta banale e la realizzazione generale improntata all'economia, come mette in evidenza la piattaforma su cui è realizzata (la EMP2 condivisa con auto di segmento inferiore), da cui vengono ereditate misure di interasse portate al loro massimo (ma non sufficienti ad evitare il disgraziato sbalzo posteriore) ed il ridicolo retrotreno a ponte torcente.
La fabbricazione cinese è un dettaglio che Oltralpe non è stata certo ritenuto dettaglio di poco conto (avendo anzi scatenato polemiche, trattandosi la C5 X del nuovo flagship del Double Chevron), mentre a chi ha apprezzato le cromie e i dettagli di allestimento delle Citroën medio-grandi del passato non possono non lasciare perplessi il nuancier ridotto a sei colori in croce e la limitatissima possibilità di personalizzazione delle finiture interne, nel contesto di un abitacolo dominato dalle tonalità invadenti e persino tristi del grigio scuro e del nero.
Così sono fatte le Citroën di oggi: le auto della penuria, condannate dal gruppo cui appartiene il marchio ad un ruolo da outsider che rende di per sé improponibile ogni confronto con la produzione passata, e la cui narrazione pubblicitaria da parte del marketing infastidisce gli appassionati ed i conoscitori per il contenuto mistificatorio ed i tentativi - pretenziosi e ruffiani - con cui si pretenderebbe di indorare la pillola della decrescita mercé improbabili strizzate d'occhio alle indimenticate linee che furono.
Mantengo valida come speranza per una redenzione futura il motto che accompagna la mia firma ormai da molti anni: meno DS Automobiles, più Citroën!
Nel frattempo diamo il benvenuto anche a questa C5 X, malinconica ed incolpevole interpretazione della depressione dei tempi moderni.